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Rifiuto della cessione del quinto: come risolvere?

Il rifiuto della cessione del quinto, decurtato dallo stipendio o dalla pensione, può dipendere da vari fattori che incidono sia in via esclusiva sia in maniera combinata fra loro. Tra i principali motivi che concorrono a determinare un diniego da parte dell’istituto finanziario, si riscontrano cause inerenti l’insufficienza delle garanzie patrimoniali sulle quali l’ente possa ottenere di conseguenza soddisfacimento, nonché ragioni legate a problematiche di vario ordine che interessano, nello specifico, l’ente datoriale.

Appare necessario, ad ogni modo, premettere la tassativa sussistenza di una copertura assicurativa, prevista per legge, che tenga indenne l’istituto erogatore dai rischi sulla vita del richiedente ovvero da quelli dovuti a licenziamento o a fallimento dell’azienda per cui il richiedente lavora.

Le garanzie patrimoniali richieste dalla cessione del quinto

Per quanto riguarda l’aspetto garantistico, l’ente creditore ha facoltà di rifiutare un prestito basato sulla cessione del quinto in conseguenza di un reddito mensile che sia inferiore a 507 euro. A prescindere dal fatto che si sia dipendenti pubblici o privati, la legge applica, infatti, una soglia minima di accesso che mira a tutelare proprio il richiedente. Tuttavia, oltre a vantare un reddito minimo, è necessario che lo stesso disponga di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, in grado di dimostrare altresì che l’assunzione non sia troppo recente ma che, al contrario, sia avvenuta da almeno un anno e, comunque, entro un tempo sufficiente in cui aver maturato una buona liquidità in termini di TFR. Quest’ultimo, infatti, rappresenta una tra le prime garanzie che vengono in rilievo, in considerazione dell’esigenza di solvibilità a cui l’istituto erogatore aspira. Perciò, è necessario che lo stesso sia libero da vincoli e dunque escutibile, operazione che difficilmente potrebbe avvenire laddove il TFR venga versato in fondi pensionistici che prevedono accantonamenti ripetuti nel tempo delle suddette somme.

Diversamente, il dipendente pubblico dovrà attestare che il proprio contratto di lavoro a tempo indeterminato abbia raggiunto un decorso di almeno 3 o 6 mesi comprensivi del superamento del periodo di prova previsto. Dal punto di vista pensionistico, invece, motivo di esclusione dalla approvazione della cessione del quinto potrebbe individuarsi nel mancato travalicamento della soglia minima di seicento euro.

I requisiti dell’ente datoriale

Il datore di lavoro assume, al contempo, un ruolo essenziale nella determinazione dell’esito positivo della richiesta. In primo luogo, costui può anche arbitrariamente negare il proprio consenso affinché si realizzi la cessione del quinto sullo stipendio del suo dipendente. Tuttavia, il più delle volte, le cause del rifiuto operato dall’istituto finanziario si risolvono nell’individuazione di parametri considerati insufficienti, tra i quali compaiono:

  • numero di dipendenti aziendali inferiore a sedici;
  • ragione sociale o forma societaria non adeguata agli standard richiesti, poiché talune vengono considerate meno affidabili di altre;
  • scorretta o mancata esecuzione dei pagamenti da parte della società datrice di lavoro nel caso in cui l’ente creditore abbia già avuto modo di verificarne l’irregolarità sulla base di precedenti cessioni accordate.

Ulteriori motivazioni che determinano una certa diffidenza dell’istituto finanziario nei confronti del datore di lavoro possono risiedere, inoltre, anche nel superamento di un eventuale plafond messo a disposizione dello stesso in considerazione di precedenti operazioni già approvate per altri dipendenti.

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Lo status personale di chi richiede la cessione del quinto

Oltre le garanzie richieste dalla compagnia assicuratrice, mediante la quale l’ente finanziatore deciderà se approvare o meno una richiesta di cessione del quinto sullo stipendio o sulla pensione, fondamentale importanza assumono anche i tratti più squisitamente personali del richiedente.

Il fattore anagrafico rappresenta, infatti, un requisito da non sottovalutare poichè incide inevitabilmente sulla solvibilità di un credito a lunga scadenza. Generalmente l’istituto finanziario non eroga il credito con il superamento della soglia dei 75 anni di età qualora si tratti di concessione a favore di un lavoratore in forze, mentre il limite raggiunge tendenzialmente i 90 anni nel caso in cui siano i pensionati a trarne vantaggio.

Indipendentemente dall’età in cui ci si accinga a sottoscrivere una cessione del quinto, il parametro sanitario assurge a fondamentale indicatore del grado di solvibilità del richiedente, da valutarsi congiuntamente con quello anagrafico. Pertanto, la compagnia assicurativa avrà facoltà di verificare previamente i dati ricavabili dalla documentazione INPS al fine di valutare eventuali assenze del dipendente dal luogo di lavoro a causa di malattie o infortuni per poter circoscrivere con maggior dettaglio l’area del rischio che l’assicurazione dovrà sostenere.

Spesso, l’istituto erogatore del prestito è il medesimo al quale sono stati richiesti già altri finanziamenti e, in tal caso, l’ente in questione potrebbe rifiutare una proposta di cessione del quinto qualora il richiedente dimostrasse di dover sanare ancora le precedenti posizioni aperte.

Prospettive risolutive

L’esito negativo di una richiesta legata ad una siffatta tipologia di prestito non è di per sè invalidante ai fini di una nuova proposizione del medesimo genere, tuttavia è opportuno valutare attentamente i presupposti di richiesta al fine di evitare un diniego quale risultato delle suesposte motivazioni.

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